Il lavoro è un’immersione nell’universo dellə femminiellə, antiche figure della cultura popolare partenopea storicamente ancorata al tessuto sociale della città di Napoli. Secondo la storiografia, la figura dellə femminiellə ha radici antiche, quando dalla mitica Ellade sopraggiunse il culto della dea Cibele. I sacerdoti a lei devoti, i Coribanti, erano uomini che vestivano da donne, come lə femminiellə partenopeə. Una figura fluida che a seconda delle epoche storiche ha trovato nuove forme adattandosi ai mutamenti sociali.
Con Chic e Favoloso!, Fortis ci accompagna in un viaggio tra sacro e profano, nella speranza e consapevolezza che finché esisterà Napoli esisteranno i femminielli.
Andrea: Nasce da una serie di incontri. Mio fratello, giornalista di base a Napoli, aveva già rapporti con il mondo dellə femminiellə. Aveva redatto articoli al riguardo e l’argomento mi aveva affascinato subito. In seguito, conoscendolə meglio, mi hanno portato in una dimensione in parte inaspettata, una scoperta che ti coinvolge e ti trascina dentro.
Quindi alla fine è stato un viaggio, un bel viaggio, un bel percorso di ricerca. Più andavo in profondità, più comprendevo il valore di ciò che stavo facendo, la possibilità di rivendicare una storia e il valore che aveva per loro. Come dice spesso una delle protagoniste CiroCiretta, è un mondo che è rimasto sempre all’interno della sfera popolare, sin dall’antichità. La borghesia non l’ha mai considerato, quando in realtà aveva un valore importantissimo per la cultura partenopea.
A Praiano c’è stata una bella ricezione da parte del pubblico che era molto coinvolto. Era un pubblico anche attivo, questa è la cosa che mi fa più piacere. Quello che vedevano stimolava loro dei ragionamenti, delle interpretazioni. È stata una bella reazione, chiaramente era un pubblico favorevole, un pubblico bello, era un pubblico già aperto di suo.
Marea: Man mano che si incede nella visione, lə spettatorə ha la sensazione di trovarsi immerso nelle scene e ambientazioni del documentario. La tua presenza, invece, tende a eclissarsi rendendo evidente la tua abilità documentaristica. Dove ti collochi rispetto ai luoghi e alle persone che hai filmato?
Andrea: Mi colloco per quello che sono, una persona esterna che arriva in un mondo nuovo. Quello che ho fatto è stato osservare. Ed è così che capisci che forse è più interessante dare spazio a loro piuttosto che imporre il tuo punto di vista.
Poi, quando inizi a montare, o anche mentre riprendi, stai già proiettando il tuo sguardo. Poi tutto diventa una conseguenza che viene comunque percepita dal pubblico, anche se tendi a stare molto con loro e a dar loro molto spazio. È un modo di fare documentari che è antico, nel senso che viene da De Seta.
Ci sono esempi di grandi registi nel passato che l’hanno fatto in modo sublime, ed è una cosa che a me ha sempre molto affascinato. Quella capacità di sapere stare lì e ascoltare, che è un po’ una delle essenze del documentario, non è l’unico modo di farlo, ovviamente. È però una possibilità, togliere un po’ del tuo ego dando più spazio a quello che hanno da dire le persone che sono di fronte a te.
Andrea: Nella versione definitiva che sto costruendo c’è l’inserimento di alcune interviste a due professori: un antropologo spagnolo che ha approfondito molto l’educazione del sentimento e il concetto di doppio in giro per il mondo, attraverso figure simili allə femminiellə; e poi c’è un professore, uno storico, che ha scritto un libro molto interessante sulla figura dellə femminiellə, forse il più completo. Fa una sintesi di tutti questi aspetti, mettendo in risalto anche l’aspetto umano. Si interroga anche su quale sia l’anima del femminiello. Non è per forza ragione, è tanto anche istinto, capacità di saper improvvisare tra anime diverse che a volte si contraddicono. Non hanno bisogno di essere consapevoli di cosa significhi essere femminiellə perché lo sono e perché c’è un territorio intorno a loro che lə protegge, lə accetta, lə vuole per quello che sono, non lə mette in discussione e ne trae beneficio alla fine.
La presenza di questi professori e le loro parole, frutto di un punto di vista esterno, cambiano la percezione del documentario. Mi hanno permesso di creare aperture e ragionamenti che servono a leggere meglio quello che accade man mano che si va avanti nella visione.
Andrea: Finché esisterà Napoli esisteranno lə femminiellə perché è un fenomeno che è molto legato alla cultura partenopea che è una cultura particolare, una cultura capace di assorbire molto gli stimoli esterni e poi ripartorirli. Probabilmente Napoli riuscirà ad assorbirli e a creare qualcosa di nuovo, e quindi anche con lə femminiellə accadrà la stessa cosa.
Napoli ha un’anima molto femminile e molto materna da un certo punto di vista, una città basata sul concetto di doppio perché vive fra il mare e il vulcano che sono elementi doppi, contrastanti, nel senso che il mare può essere facilmente vita, ma d’altro canto può essere anche molto pericoloso, come il mito della sirena.
D’altra parte, il vulcano è di primo acchito pericoloso, perché c’è questa potenza incredibile che è latente, non si sa cosa può fare, ma è anche quello che rende fertili i campi. Quindi è fonte di vita totale. È difficile che un elemento che rappresenta così bene questo doppio sparisca.